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Stakeholders: chi sono e cosa fanno i portatori di interessi
Ormai lo sappiamo, il glossario del marketing è pieno di terminologie e definizioni specifiche tra le quali è facile perdersi o ingarbugliarsi. In questo articolo analizzeremo la figura dei “portatori di interesse“, in gergo i cosiddetti “stakeholder“: chi sono, qual è il loro ruolo e come vengono classificati? Scopriamolo.
La figura dello Stakeholder
“Portatore di interesse” è la traduzione in italiano del termine “stakeholder”, che letteralmente sta a significare “colui che ha della posta in gioco“.
Si tratta infatti di individui singoli, gruppi di persone o organizzazioni che nutrono interesse nei confronti di un determinato business o progetto, e che hanno a cuore la sua buona riuscita.
La definizione è volutamente generica, in quanto al suo interno sono davvero compresi tutti coloro che hanno, a qualsiasi livello, influenza sull’azienda e sul suo operato. Sono quindi compresi i proprietari, i manager, i dipendenti, i fornitori, i clienti, i tester, ma anche le associazioni a tutela e i governi che regolamentano un determinato settore.
Si sente spesso parlare degli stakeholder in base al loro ambito, che può essere la finanza, il turismo, il commercio o il farmaceutico; la maggior parte dei business, al giorno d’oggi, sono considerati in realtà “multistakeholder“, in quanto la molteplicità di individui coinvolti nell’azienda nutre interessi ben diversi gli uni dagli altri, nei confronti dello stesso business.
Gli investitori, per esempio, punteranno al ritorno economico, i dipendenti a migliorare la propria posizione all’interno della gerarchia aziendale e i governi a far sì che tutte le norme vengano rispettate.
Edward Freeman, che nel 1983 fu uno dei primi studiosi a ideare una vera e propria teoria in merito alla figura dei portatori d’interesse, sosteneva che addirittura i competitor potessero essere considerati stakeholder nei confronti di un marchio, in quanto appartenenti al medesimo settore e con obiettivi comuni.
Successivamente si concordò che tale definizione fosse troppo generica, e che fosse necessario tenere in considerazione soltanto gli individui le cui azioni fossero determinanti ai fini della riuscita di un business.
La differenza tra Shareholder e Stakeholder
Come detto in precedenza, è facile confondersi tra i vari termini e utilizzarli impropriamente come sinonimi, cosa che spesso accade con stakeholder e shareholder.
Con shareholder si indica un azionista che ha legalmente acquistato quote dell’azienda: il suo interesse è dunque tangibile e lo rende automaticamente anche uno stakeholder.
Al contrario, lo stakeholder non necessariamente deve aver rilevato quote o essere intenzionato a farlo, ma il possedimento di queste ultime non determina il suo stato di portatore di interesse: è il coinvolgimento nell’operato e nel destino dell’azienda a farlo.
Gli interessi dello stakeholder sono nella maggior parte dei casi basati sul lungo termine, mentre quelli di uno shareholder sono temporanei e destinati a esaurirsi con il tempo in base all’andamento del mercato.
La classificazione degli Stakeholder e la loro gestione
Gli stakeholder non sono, ovviamente, tutti uguali: la suddivisione preliminare da fare è quella tra internal ed external stakeholder: i primi sono costituiti da coloro che operano attivamente all’interno del business, come i dirigenti, l’amministrazione e gli impiegati, mentre i secondi sono rappresentati da tutti coloro che vi entrano in interazione solo esternamente, come i consumatori, le associazioni e le istituzioni di riferimento.
Dopo questa prima classificazione, è il momento di mappare gli stakeholder in base alla rilevanza nei confronti dell’azienda. Di conseguenza troviamo:
–Stakeholder primari: i più importanti, strettamente legati alle sorti dell’azienda (proprietari, investitori, dipendenti)
–Stakeholder secondari: sono importanti, ma meno coinvolti nel funzionamento vitale del business (clienti, fornitori, banche)
–Stakeholder terziari: si tratta di soggetti portatori di interessi molto marginali, rilevanti ma meno diretti (istituzioni governative, associazioni)
–Excluded stakeholder: sono coloro che non hanno praticamente nessun impatto sull’azienda, come per esempio i bambini e coloro che non possono avvalersi di autonomia di spesa
Mappare e analizzare gli stakeholder non è soltanto necessario nella fase iniziale dell’avvio di un business, ma diventa estremamente utile strada facendo per individuare possibili minacce o inglobare nuovi alleati per lo stesso.
Concretamente, la mappatura può essere realizzata tramite un piano cartesiano le cui due assi indicano il potere e l’influenza dei soggetti sull’azienda (la cosiddetta “power-influence stakeholder matrix“), oppure tramite un diagramma di Venn che metta in correlazione potere, credibilità e necessità degli individui per l’azienda.
Gestire, ascoltare e interagire con tutti i gradi di stakeholder è importantissimo per un’azienda stabile e lungimirante: se per la teoria economica tradizionale l’unico obiettivo di un brand è sempre e soltanto il tornaconto economico, per la stakeholder theory è cruciale la soddisfazione di tutte le parti coinvolte, anche quelle non primarie.
Le controversie e le incomprensioni con gli stakeholder rischiano di minare la stabilità del business e creare episodi di stakeholder in negativo, che è quanto di meno auspicabile potrebbe accadere a un imprenditore o fondatore di un business. Basti pensare allo scompiglio generato a fine 2020 nelle grandi compagnie di food delivery, causato dall’insorgenza dei rider per la rivendicazione dei propri diritti.
La comunicazione tra tutte le parti deve pertanto essere costante, aperta e chiara, ed è necessario scambiarsi periodicamente report, analisi e statistiche per assicurarsi che tutti i reparti siano pienamente soddisfatti dell’operato dell’azienda.