Via Don Luigi Sturzo, 2 - 95014 Giarre (CT) +39 095.7796312
Creatigroup

Condurre un’attività commerciale nel campo della Grande Distribuzione non è semplice. Per farne un’arte è necessario padroneggiare correttamente strategie per mantenere i propri servizi o potenziarli al momento giusto. La “rottura di stock” è uno di quei fenomeni che possono drasticamente incidere sul fatturato e sulla reputazione di un’azienda, vediamo insieme come evitarla.

Cosa significa Rottura di Stock?

La rottura di stock, altrimenti detta stock out o out of stock, viene definita come l’esaurimento di un prodotto, causato da una cattiva gestione delle scorte in magazzino.

Trovare uno scaffale vuoto mentre si fa la spesa al supermercato è un fenomeno abbastanza comune al quale il consumatore potrebbe non prestare consciamente attenzione, ma cosa comporta realmente un episodio di rottura di stock?

Solo nel 2015, ha causato una perdita pari a 2,4 miliardi di Euro nella Grande Distribuzione Organizzata, e una serie di conseguenze “invisibili” che in un momento di stagnazione del mercato come quello odierno, sarebbe necessario scongiurare.

Quali conseguenze ha una Rottura di Stock?

Avere sempre sotto controllo le scorte e la disponibilità in magazzino è fondamentale a mantenere integre l’immagine aziendale e la fedeltà del cliente: quando va bene, al fronte di un prodotto esaurito, l’acquisto viene semplicemente posticipato, ma in tante altre occasioni il consumatore si sposta direttamente su un altro punto vendita. Questo fenomeno ha un’incidenza maggiore in America, mentre in Italia “solo” il 10% degli acquirenti ha dichiarato di virare verso un brand differente se impossibilitati all’acquisto da uno stock out.

Simili sono invece le percentuali quando si parla di annullamento dell’acquisto, pari a un 25% dei casi per gli Italiani, contro un 24% per i consumatori d’oltreoceano.

Ma se nel mondo degli acquisti “fisici”, viaggiare da un rivenditore all’altro potrebbe risultare scomodo in alcuni casi, diversa è la storia quando si parla di e-commerce, dove con un click si può finalizzare il proprio ordine da un negozio diverso da quello iniziale. Un monitoraggio accurato della merce diventa quindi di vitale importanza anche (e soprattutto) nell’era degli store digitali.

Quali fattori determinano una Rottura di Stock?

Il mercato moderno presenta una quantità considerevole di variabili che mutano velocemente; vanno pertanto tutte studiate a fondo per realizzare pronostici affidabili, ridurre al minimo le incertezze e non farsi cogliere alla sprovvista.

Innanzitutto, partiamo esaminando quei fattori che, se sottovalutati, portano alla tanto temuta rottura di stock.

-aumento improvviso della domanda: la società è in continua e rapida evoluzione, con lei lo sono anche le tendenze di mercato. Un boom della domanda può essere determinato da mode, fenomeni virali, ma anche avvenimenti imprevisti all’interno di uno o più ambiti della società.

-previsione errata della domanda: quando si gestisce un’attività, è sempre bene studiare attentamente il mercato in cui ci si sta inserendo, con tutte le sue variabili. Prevedere correttamente la domanda di acquisto è il primo passo per non farsi cogliere impreparati.

-errori di inventario: se il magazzino non viene gestito a dovere, sarà impossibile offrire al cliente un’esperienza d’acquisto piacevole e senza inconvenienti. Ecco perché realizzare periodicamente un inventario della merce è fondamentale per evitare perdite di denaro e di affidabilità agli occhi del consumatore.

-ritardo nelle consegne e dei fornitori: talvolta, la responsabilità non è direttamente di chi gestisce l’attività commerciale o il magazzino, ma dei trasporti che per cause di forza maggiore possono essere rallentati e portare a disservizi all’interno delle aziende. Lo stesso discorso vale per i fornitori delle materie prime: un ritardo in questo anello della catena commerciale, comporterà inevitabilmente un ritardo anche a distributori e dettaglianti.

-errori umani: fin quando le attività verranno gestite da operatori e non da macchine, l’errore, per quanto marginale, è dietro l’angolo e deve essere tenuto in considerazione, se possibile prevenuto.

Metodi per evitare la Rottura di Stock

Per ridurre al minimo la possibilità di errore, sono state studiate diverse tecniche che, se applicate, consentono di scongiurare un eventuale episodio di out of stock.

realizzare previsioni a breve termine, basandosi sull’andamento attuale del mercato

-conoscere il ciclo di vita di ogni prodotto, ovvero le sue fasi, la sua evoluzione e la sua durata nel tempo

-prevedere i picchi di richieste dovuti alla stagionalità

-calcolare l’indice di rotazione delle scorte, ovvero la frequenza con la quale la merce entra ed esce dal magazzino

-individuare il punto di riordino (reorder point), vale a dire il momento in cui è necessario fare rifornimento prima che le scorte si esauriscano, tenendo conto delle tempistiche di gestione e di trasporto

-tenere delle scorte di sicurezza (buffer stock), necessarie per fronteggiare imprevisti di qualsiasi natura

digitalizzare il magazzino con l’ausilio di software per il controllo dei flussi della merce. Ultimo, ma non per importanza, perché questo è l’unico metodo che esula dalle competenze umane e si affida alle avanzate tecnologie moderne per monitorare e regolare l’andamento del magazzino.

Una saggia combinazione di queste tecniche si rivelerà senz’altro vincente nella gestione di un punto vendita, è però importante sapere che l’out of stock in certi casi può anche avere l’effetto inverso, ovvero rivelarsi positivo per incentivare una ricerca spasmodica del prodotto e aumentarne quindi la popolarità… ma anche questa strategia di marketing ha i suoi pro e contro, che vi abbiamo svelato in questo articolo.

0

Creatigroup

Il gergo commerciale comprende molti termini specifici, spesso utilizzati impropriamente. Non si tratta di errori imperdonabili, ma sappiamo che coerenza e pertinenza di linguaggio sono la base per la costruzione di una strategia marketing proficua. Scopriamo insieme a cosa si riferiscono parole tanto conosciute quanto potenzialmente ambigue come “target, segmentazione, buyer”.

Differenza tra buyer e target

Dopo aver analizzato tutto l’ambito commerciale della vendita al dettaglio, suddivisa in Retail (in questo articolo), e Grande Distribuzione (in quest’altro), è giunto il momento di scendere nello specifico snocciolando i significati di alcuni termini tecnici spesso utilizzati inconsapevolmente.

Con il termine “target”, letteralmente “bersaglio” in inglese, si indica l’obiettivo che si vuole raggiungere tramite la propria strategia di marketing. Si tratta, in concreto, del gruppo di consumatori alla quale ci si rivolge, che avrà peculiarità ben specifiche.

Quando parliamo di “buyer persona” invece, ci riferiamo a un utente singolo virtuale, che rappresenta il profilo del proprio cliente tipo basandosi su ricerche di mercato e dati reali. Ogni azienda ne ha uno differente, a seconda delle proprie caratteristiche.

Queste definizioni sono le fondamenta per una figura chiave come quella del buyer, il cosiddetto “responsabile acquisti”, che dovrà improntare la propria strategia di acquisto di merci o servizi proprio sui concetti di “target” e “buyer personas”.

Cosa fa un buyer professionale

Quello del buyer è un ruolo cardine all’interno della catena commerciale, tanto ambito quanto insidioso da impersonare per via delle numerose skills sia tecniche che attitudinali richieste per il suo svolgimento.

Il buyer è colui che si occupa di acquistare la merce e trattare direttamente con i fornitori.

A seconda dell’ambito in cui opera, questa figura può assumere il nome più specifico di Wholesale Buyer, Retail Buyer o Procurement Buyer (nel settore delle materie prime e forniture di energia).

Il suo compito è quello di pianificare gli acquisti in base alle esigenze dell’azienda, individuando il miglior rapporto qualità/prezzo e gestendo in toto le relazioni con i fornitori, dalle condizioni di compravendita, alle tempistiche di consegna.

Per intraprendere la carriera di buyer è necessario aver conseguito una laurea in discipline economiche, meglio se affiancata da uno o più corsi di formazione e aggiornamento, importantissimi per mantenersi al passo con l’evoluzione dell’economia.

È imprescindibile la conoscenza di una o più lingue straniere e un forte spirito di iniziativa, in quanto tutte le decisioni verranno prese in modo autonomo facendo fronte alle responsabilità che ciò comporta.

Cos’è la Segmentazione

Per individuare il proprio target di acquirenti, è necessario mettere in atto ricerche e analisi mirate seguite da una segmentazione, ovvero da una suddivisione del mercato in gruppi di consumatori secondo uno o più parametri. Le variabili geografiche, demografiche, socio psicografiche e comportamentali, sono tutti fattori da prendere in considerazione per la costruzione ad hoc del target finale.

Lo scopo della segmentazione è l’analisi dei comportamenti del consumatore, in modo da poter indirizzare tutte le risorse dell’azienda verso il soddisfacimento di un bisogno specifico non ancora coperto da un competitor.

Le piccole nicchie di potenziali clienti, messe in luce a seguito della segmentazione, risulteranno avere caratteristiche molto simili tra loro, ma solo una di queste corrisponderà a quella alla quale l’azienda intende indirizzarsi con la propria strategia di marketing e comunicazione.

La sopracitata operazione viene denominata “targeting”.

Come definire le Personas

Se siamo produttori o rivenditori, ma non abbiamo la minima idea di chi sia il nostro cliente tipo, stiamo affidando le redini della nostra attività alla sorte.

La segmentazione e il targeting sono ottime operazioni, ma non sono ancora sufficienti a conoscere il profilo specifico dell’acquirente a cui ci stiamo rivolgendo.

Ecco che entrano in gioco le famose buyer personas, già citate in precedenza. Ma come possiamo costruirle anche per la nostra azienda?

Esistono diverse strategie che possono essere attuate singolarmente, ma ancor meglio se intersecate per ottenere un risultato il più possibile dettagliato.

Consultare gli stakeholder interni: ossia tutti i dipartimenti interessati nella costruzione del progetto, dai proprietari, ai manager ai dipendenti. Per esempio, può risultare estremamente utile fare domande al reparto vendita della propria azienda o dell’azienda che rivende i propri prodotti, per preziose informazioni sui clienti e le loro preferenze.

Strumenti web: nel 2020 è saggio avvalersi del prezioso aiuto della tecnologia, indicendo sondaggi (magari con “ricompensa” finale), analizzando i dati forniti dai motori di ricerca e sfruttando le web analytics e i social media insight.

Interviste ai clienti: ovvero la strategia più complessa ma più proficua. Chi meglio dei nostri attuali clienti può dare informazioni sui clienti stessi? I consumatori infatti, con tutta probabilità avranno anche testato il prodotto della concorrenza, potendoci così fornire importanti spunti per la nostra ricerca. La difficoltà sta nel saper porre le giuste domande, e leggere tra le righe per estrapolare le risposte desiderate.

0

Creatigroup

Nella vita quotidiana si sente spesso parlare di “Grande Distribuzione”, ma di cosa si tratta esattamente? Il mondo della vendita al dettaglio si declina in due grandi sistemi commerciali: Retail e Grande Distribuzione; in questo articolo vi parleremo proprio di quest’ultima e vi spiegheremo nel dettaglio cosa sono la GDO e la GDS.

Dopo aver parlato di Retail (in questo articolo) e della sua evoluzione nell’epoca moderna abbiamo deciso di approfondire un tema molto importante: la Grande Distribuzione (GD).
Con GD si intende un’unica, potente struttura centrale, proprietaria di numerosi punti vendita sottostanti. Questi ultimi si occupano della vendita di beni di largo consumo di varia natura, in centri di medie/grandi dimensioni, a loro volta suddivisibili in due macrocategorie a seconda delle caratteristiche: Grande Distribuzione Organizzata e Grande Distribuzione Specializzata.

Cos’è la GDO

Con l’acronimo GDO si fa riferimento alla prima di queste due macrocategorie: la Grande Distribuzione Organizzata. Si tratta della branca del commercio al dettaglio che si sviluppa tramite un’associazione volontaria di esercenti indipendenti che decidono di esprimersi con la medesima insegna. Gli esercizi in questione gestiscono catene commerciali appartenenti a uno stesso marchio, e si espandono su superfici di vendita generalmente superiori ai 400m².

I fattori che avvantaggiano la GDO a discapito del piccolo retailer sono la riduzione dei costi logistici e una maggior facilità di approvvigionamento, i quali portano alla creazione di un’economia di scala (ovvero un minor costo di produzione unitario in relazione a un’ampia richiesta produttiva) e a un potere negoziale più forte.

Quali tipologie di esercizi commerciali comprende la GDO

Il mondo della Grande Distribuzione Organizzata è ampio e variegato: al suo interno è possibile individuare diverse tipologie di punti vendita a seconda delle loro peculiarità.

I parametri da tenere in considerazione sono:

Dimensione (superficie di vendita in m²)

Ampiezza (numero di prodotti che possono essere contenuti nel punto vendita)

Profondità (numero di referenze per prodotto)

In base a queste caratteristiche, si distinguono:

Supermercati: sono negozi dalla superficie superiore ai 400m², che si occupano prevalentemente della vendita di prodotti alimentari, ma anche per la cura della persona, della casa e oggettistica varia. Il primo in Italia venne aperto nel 1957 da parte di Esselunga.

Ipermercati: si espandono su oltre 2500m², offrono un ampio assortimento di grocery e prodotti di varia natura, e un parcheggio riservato alla clientela. Nel nostro Paese arrivarono per la prima volta nel 1971.

Discount: si trovano in sedi tra i 200 e i 1000m², ma a differenza dei precedenti, possono contenere un assortimento limitato di prodotti, generalmente di marchi “equivalenti”. Lidl aprì il primissimo discount nel 1992.

– Cash&Carry: si tratta di un sistema di vendita all’ingrosso rivolto esclusivamente ai commercianti, in cui il dettagliante si rifornisce e preleva la merce con mezzi propri. Questa tipologia di attività commerciale è presente in Italia dalla metà degli anni ’60.

Libero servizio: sono esercizi commerciali che si sviluppano come i supermercati, ma dalle dimensioni, ampiezza e profondità ridotte, trattandosi spesso di attività di vicinato.

Nel gergo commerciale, esistono ulteriori suddivisioni specifiche che segmentano ancora di più le diverse tipologie di punto vendita:

– Superstore: sono i supermercati dalle dimensioni comprese tra i 1500 e i 3500m².

– Iperstore o mini-iper: ovvero tutti quegli esercizi che si espandono tra i 2500 e i 4000m².

– Superette o minimarket: con questo termine si indicano tutti i punti vendita di beni di largo consumo e prevalentemente a libero servizio, collocati nella categoria dei negozi di vicinato. Sono infatti spesso compresi tra i 200 e i 400m², nonostante questo parametro sia variabile a seconda dell’insegna titolare.

Nati come esercizi di paese o di quartiere per servire coloro che non avessero modo di spostarsi verso un centro più ampio e rifornito, al giorno d’oggi sorgono numerosi anche in zone urbane centrali di grande passaggio, fungendo da appoggio per gli abitanti o i frequentatori del centro per una spesa giornaliera integrativa.

Cos’è la GDS

L’altra macrocategoria di Grande Distribuzione è la GDS, ovvero la Grande Distribuzione Specializzata.

A differenza della GDO, gli esercizi facenti parte di questa struttura commerciale si occupano di una specifica categoria di beni, come l’elettronica, il fai da te, i prodotti biologici, l’arredamento e gli accessori per la casa.

I punti vendita appartenenti alla GDS possiedono solitamente dimensioni da medie a ampie, in base al settore di interesse. Si trovano spesso in centri commerciali, parchi commerciali e in complessi extraurbani in cui si raggruppano diverse insegne GDS.

Esempi di grandi aziende simbolo di GDO e GDS

Se il termine GDO ci indica un macro settore del mercato basato sulla struttura e l’organizzazione dei punti vendita, GDS fa invece riferimento alla tipologia di beni commercializzati all’interno degli stessi, che possono a loro volta mantenere le caratteristiche base definite dal glossario della GDO.

All’interno del mercato italiano si ergono alcune delle maggiori aziende esponenti di queste due tipologie commerciali.

Tra gli esempi più importanti di GDO troviamo Conad, Coop, Esselunga e Lidl.

Per quanto riguarda la GDS, esempi di aziende più influenti sono Euronics, Mediaworld, Naturasì, Bricoman, Acqua&Sapone e tutte quelle catene specializzate in settori merceologici ben definiti.

0

Creatigroup

Retail: cos’è e perché è un termine chiave? Nella mente di tutti questa parola rimanda al concetto di vendita diretta al consumatore ma il suo significato è decisamente più complesso e ha origini antiche. In questo articolo analizzeremo tutto quello che c’è da sapere sul retail e sulla sua importante posizione nella catena distributiva.

Con il termine “Retail” si indica per definizione la vendita al dettaglio di beni o servizi da parte di un’azienda o società, indirizzata a utenti singoli, siano essi privati, professionisti o imprenditori.

Nella catena distributiva, il “Retail” occupa la posizione subito precedente al consumatore, al quale appunto si rivolge, e viene preceduto dal “Wholesale”, ovvero la vendita all’ingrosso.

Differenza tra Retail e GDO

Nonostante il termine tecnico sopracitato, nel gergo comune con “Retail” ci si riferisce ormai implicitamente a negozi di piccole dimensioni, generalmente inferiori ai 200m² e di singola proprietà, specializzati nella vendita di una particolare categoria di beni.

In contrapposizione al Retail troviamo la cosiddetta “GDO”, ovvero Grande Distribuzione Organizzata: si tratta della distribuzione, sempre indirizzata al consumatore finale, di beni di largo consumo di varia natura su superfici quasi sempre superiori ai 200m².

Per GDO si intende un’associazione volontaria tra singoli esercenti che si esprimono con le medesima insegna, es. Auchan, Esselunga, Carrefour.

I vantaggi della GDO nei confronti del piccolo Retailer sono molteplici, a partire dai prezzi più convenienti, alla maggior potenza del marchio, alle strategie di comunicazione più forti e risonanti.

Tipologie di Retail

La vendita al dettaglio viene suddivisa in tre macroaree, a seconda dei beni commercializzati. 

La prima, quella dei prodotti alimentari, si occupa della rivendita di prodotti necessari al sostentamento dei consumatori. La seconda, quella dei beni di consumo, comprende tutte quelle attività specializzate in prodotti riutilizzabili più e più volte, ma comunque soggetti a usura in un lasso di tempo stimato di circa tre anni. Il settore dei beni di consumo durevole, invece, include tutti i retailers che forniscono al consumatore prodotti soggetti a un deterioramento più lento, e riutilizzabili per più e più anni.

Nonostante il Retail si rivolga per natura solo a un preciso utente, ovvero al consumatore finale, al suo interno possono essere individuate diverse tipologie di attività in cui questo commercio si declina.

1) Attività in sede fissa: sono i piccoli negozi di quartiere, che si trovano abitualmente lungo le strade, nelle piazze o nei centri commerciali.

2) Supermercati: sono i punti vendita di vaste dimensioni, solitamente superiori ai 200m2, con ampio assortimento di diverse tipologie di merce, dagli alimentari alla tecnologia, ai prodotti per la cura della persona e degli animali domestici, con in gestione catene commerciali appartenenti a un medesimo marchio.

3) Discount: con questo termine si indicano rivenditori di generi e alimentari e non solo, che offrono prodotti cosiddetti “generici”, i cui prezzi sono nettamente inferiori rispetto a quelli di brand leader nei dati settori.

4) Temporary Shops: si tratta di negozi temporanei, come si evince dal nome, aperti direttamente dal produttore per promuovere uno specifico prodotto o per rafforzare la propria visibilità sul mercato.

5) Distributori automatici: le cosiddette “vending machines” che da diversi anni costellano le nostre città. Rivendono solitamente alimentari e bibite, ma non solo.

6) Internet retail: a partire dagli esordi a metà degli anni ’90, gli e-commerce si sono affermati sempre di più sino a diventare oggigiorno uno dei principali strumenti commerciali di riferimento sia per il retailer, che per il consumatore finale.

7) Mobile retail: con l’affermazione degli smartphone, nell’ultimo decennio è sorta una nuova tipologia di retail, che si appoggia unicamente alle app per cellulari. 

Si tratta di un canale commerciale immediato, grazie al quale l’utente può fare acquisti tramite app senza dover fare riferimento a nessun sito web specifico.

Evoluzione del Retail

La realtà della vendita al dettaglio si è evoluta e continua a evolversi di pari passo con la società. Affonda le proprie radici in tempi antichissimi, tanto che i primi esempi di “Retail” possono essere individuati nel baratto, la primissima forma di commercio stabilita dall’uomo.

Facendo un passo in avanti all’età moderna, è nel 1700 che si inizia a definire la dimensione di Retail di cui quella attuale è la diretta discendente. La vendita al dettaglio al cliente, per circa due secoli, si è svolta infatti tramite piccole botteghe a conduzione familiare, fornite di tutti i beni di prima necessità, dagli alimentari ai tessili, all’oggettistica.

È nella seconda metà dell’800 che la storia cambia: nelle grandi città sorgono i cosiddetti “grandi magazzini”, i predecessori della GDO odierna, che arrivano all’apice della loro espansione e del loro impatto socio-economico circa un secolo dopo, negli anni 50 del ‘900 quando iniziano a costellare non solo i centri urbani, ma intere nazioni occidentali.

La terza significativa svolta nel mondo del Retail viene segnata negli anni ’90 dalla nascita degli e-commerce. Quella che a primo impatto poteva sembrare semplicemente “un’aggiunta” alle dinamiche commerciali già esistenti, si è ben presto rivelata solo la semente portatrice di un potenziale straordinario e fuori da qualsiasi previsione.

L’internet retail, se al principio fu soltanto un “privilegio” dei pochi al passo con la tecnologia in continuo e rapido avanzamento, diventa entro il primo decennio del terzo millennio, uno strumento affermato e capace di spodestare l’idea convenzionale di vendita al dettaglio tramite store fisici e risorse umane.

Con l’avvento degli smartphone e dei social media come potente strumento di comunicazione, è oggi più che mai fondamentale per il commerciante poter contare su infrastrutture tecnologiche evolute.

Il rischio di obsolescenza aumenta progressivamente e pericolosamente: è quindi necessario accettare questa rivoluzione ormai in atto e prenderne parte senza venirne travolti.

0

NO OLD POSTSPage 5 of 5NEXT POSTS