Hai utilizzato i risparmi di una vita per mettere in piedi l’attività che sognavi da anni, hai avuto a che fare con burocrazia, ritardi e contrattempi… Ma finalmente ce l’hai fatta. Il tuo brand è diventato realtà… E ora?
Non basta di certo fondare il proprio marchio per far sì che funzioni e che le vendite inizino a galoppare.
In questo articolo scopriremo tutti i segreti su come migliorare l’immagine e la visibilità del tuo brand.
Scegli il nome adatto
Qual è la primissima cosa che il cliente nota del nostro marchio? Prima ancora della qualità dei prodotti, dell’efficacia del servizio, della disponibilità del personale… C’è il nostro nome. Esatto, una caratteristica tanto “semplice”, quanto fondamentale.
Scegliere il nome perfetto potrebbe sembrare un’operazione veloce e indolore, ma in realtà necessita di tutto il nostro impegno e concentrazione. Al giorno d’oggi, il mercato è saturo praticamente in ogni settore, ragion per cui è necessario più che mai scegliere un nome che si distingua dalla massa e non ci renda anonimi.
In tanti sono caduti nella trappola del nome descrittivo, ovvero quello che descrive fin troppo bene il tipo di prodotto venduto, senza conferirgli nessuna nota di mistero e originalità. Nel tempo, i cosiddetti nomi descrittivi hanno causato il fallimento di numerose aziende che, seppur pioniere nel loro settore, non sono riuscite a tenere a bada la concorrenza che negli anni è riuscita a innovare non tanto dal punto di vista del prodotto, quanto del naming.
Come abbiamo già citato qui, Superpila è un esempio eclatante di questo fenomeno: l’azienda veneta di batterie elettriche, fondata agli inizi del ‘900, ebbe un’enorme espansione a metà del secolo, che andò presto scemando negli anni ’80 con il boom economico e la nascita di nuovi brand in ogni angolo del mercato. Superpila passò presto dall’essere un nome proprio di azienda, a un nome comune per indicare una batteria elettrica di estrema durata.
Esempi di aziende che non sono cadute in questo tipo di inganno? Senza dubbio loro, i colossi Nutella, Apple, Windows e Coca Cola. I loro nomi giocano su allitterazioni, doppi sensi, richiami ad altri idiomi, con una buona dose di fantasia. Ecco il mix perfetto per fare naming in modo efficace!
La popolarità del marchio: cos’è e come si ottiene
Dopo tanta fatica, innumerevoli brain storming e ipotesi scartate, ce l’abbiamo fatta: abbiamo scelto il nome del nostro marchio. Ora è il momento di aumentarne la popolarità, chiamata in gergo “brand awareness“.
Con questo termine si indica la percezione astratta che il cliente hai nei confronti del brand. Per identificarla, ci si basa prevalentemente sulla capacità del pubblico target di ricordare e riconoscerne il logo, l’immagine, e sapere di che prodotto si tratti.
La brand awareness si suddivide in Aided, quando il ricordo viene stimolato in qualche modo tramite immagini, suoni o domande, e Unaided quando insorge spontaneo senza nessun tipo di input esterno. Inutile sottolineare che l’aspirazione di ogni brand è riuscire a instillarsi nella mente del proprio pubblico target senza necessità di sollecito di alcun tipo.
Per misurare in maniera concreta il livello di brand awareness esiste uno strumento chiamato Piramide di Aaker, dall’economista statunitense che ideò questo metodo. La piramide suddivide i dati raccolti tramite sondaggi e analisi di mercato in quattro grandi categorie, in base al livello di conoscenza che gli intervistati hanno mostrato nei confronti dei brand analizzati.
Alla base della piramide c’è il livello Unaware of Brand, quando il consumatore non ha mai sentito parlare del marchio. Subito dopo troviamo il Brand Recognition, quando è in grado di riconoscerlo solo in seguito a input esterni.
Brand Recall è il livello nel quale il consumatore ricorda e riconosce il brand senza bisogno di stimoli esterni (unaided brand awareness), mentre in cima alla piramide è posizionata la Top Of Mind Awareness (TOM).
Giunti a questo punto della scalata, il nostro brand è il primo a venire alla mente del pubblico quando viene menzionata una determinata categoria merceologica.
Per scoprire di più sulla brand awareness e su come aumentarla, leggi il nostro articolo dedicato.
Sponsorizzazioni e collaborazioni per rafforzare la brand awareness
Abbiamo capito cosa sia la brand awareness, come identificarla e quali sono i suoi vari livelli. Arriviamo al clou, come facciamo a scalare la Piramide di Aaker? La risposta è quasi fin troppo banale: tramite la pubblicità, di ogni tipo.
In particolare, c’è un tipo di strategia pubblicitaria che è in grado di accrescere la brand awareness e fidelizzare il pubblico: le sponsorizzazioni.
Con questo termine si intende un investimento a favore di eventi, organizzazioni, spettacoli e manifestazioni, al fine di far entrare a conoscenza del nostro brand tutte le persone che vi parteciperanno.
Le sponsorizzazioni hanno il potere di far inserire meglio il brand all’interno della comunità, che sia a livello locale o nazionale, e farlo percepire come più attento nei confronti di una determinata tematica o movimento sociale. In questo modo si aumenta la propria copertura, oltre che la credibilità, e si riesce a entrare in contatto con numerosi nuovi potenziali acquirenti.
Se tutto questo riguarda le sponsorizzazioni “fisiche”, c’è da aprire una parentesi sulle sponsorizzazioni sui Social Network che al giorno d’oggi sono parte integrante della vita dei cittadini. Sui social, le aziende promuovono sé stesse lavorando con i cosiddetti “influencer“, personaggi pubblici che condividono il proprio stile di vita e le proprie preferenze con il grande pubblico.
Si tratta di un tipo di pubblicità più sottile ed empatica, in quanto il consumatore tende a identificarsi con l’influencer e a riporvi fiducia, acquistando i prodotti da lui consigliati.
Il magico mondo dei microinfluencer
Se sponsorizzare un influencer di portata nazionale o internazionale è un privilegio che non tutte le aziende possono permettersi, decidere di lavorare con i cosiddetti “microinfluencer” è una strategia di marketing molto astuta e saggia. I microinfluencer rimangono solitamente sotto la soglia dei 20 mila follower, con i quali però si è venuta a creare una community molto attiva, che interagisce di frequente e con molto entusiasmo ai contenuti condivisi.
Scegliere di approcciarsi ai microinfluencer consente di contenere i costi mentre si raggiunge un target ben definito e genuinamente interessato al prodotto. Prima di inviarli, infatti, sarà importantissimo selezionarli a dovere in base alle caratteristiche del collaboratore, al suo stile di vita e alle sue preferenze. Se con un macroinfluencer si può instaurare empatia, con un microinfluencer il pubblico crea un vero e proprio rapporto di amiczia, fiducia e supporto. Per questo motivo spesso sono proprio i microinfluencer a generare più vendite alle aziende rispetto a nomi più conosciuti, che rischiano di risultare troppo distaccati e impersonali nella presentazione dei prodotti.
Una volta intrapresa questa strada, si può scegliere di procedere con una classica box di prodotti in regalo, che il collaboratore recensirà sui propri canali social, oppure proporre di organizzare un concorso (giveaway) con il quale si potranno aumentare le interazioni sia sui profili dell’azienda che su quelli del collaboratore. La diffusione di un buono sconto, spesso affiliato, e la promozione di un hashtag esclusivo sono altre strategie che si possono mettere in atto, da utilizzare da sole o in combinazione con quelle precedentemente citate.
Racconta il tuo marchio tramite lo storytelling
A proposito di empatia, è proprio questa caratteristica una delle fondamentali per consolidare la brand awareness. Possiamo offrire un prodotto di eccellenza, aver studiato una proposta commerciale attenta e aver pianificato una strategia di marketing intelligente, ma se il nostro approccio manca di una genuina connessione con il pubblico, il nostro brand apparirà sempre freddo, distaccato e privo di valori propri.
Di questo si occupa l’arte dello storytelling: raccontare il proprio marchio al cliente, tramite una storia ricca di emozioni che si faccia veicolo di messaggi importanti da condividere con il consumatore. Quando quest’ultimo è in grado di identificarsi con gli ideali e i valori di un brand, sarà molto più invogliato a sceglierlo rispetto a un competitor con il quale non condivide la filosofia.
Per fare dello storytelling una strategia concreta, è necessario prima di tutto osservarsi, studiarsi e analizzarsi. Chi sono io? Cosa rappresenta il mio brand? Quali sono i principi sui quali si fonda? Quali messaggi voglio trasmettere al grande pubblico?
Dopo aver trovato una risposta a tutti questi quesiti, possiamo condividere la nostra posizione su determinati argomenti con il consumatore, facendoci suo portavoce e rappresentante.
Creare una storia coinvolgente e di successo richiede una ricerca accurata: esistono diverse tecniche narrative di cui ci si può avvalere, clicca qui per approfondirle.
Nel marketing… l’abito fa il monaco
Attraverso uno storytelling adeguato, saremo in grado di consolidare una buona immagine del marchio nell’immaginario del consumatore. Una brand image positiva è infatti l’obiettivo a cui aspirano (o dovrebbero aspirare) tutti gli imprenditori: come abbiamo già visto, è “soltanto” la percezione soggettiva del cliente finale ciò che lo porta a sceglierci tra le tante proposte sul mercato.
Per differenziarci della massa, dobbiamo puntare non solo su un prodotto di qualità, ma sulla trasmissione di valori e messaggi importanti con i quali ci si possa identificare e sentire al sicuro. Soprattutto nei periodi di crisi sociale ed economica come quello che stiamo vivendo attualmente, la brand image gioca un ruolo di vitale importanza: quanto più sarà positiva, quante più possibilità avrà il marchio di restare in piedi e affrontare anche i periodi più bui.
È solo grazie al supporto dei clienti che ci scelgono ogni giorno che anche le piccole e medie imprese riescono a superare i momenti di recessione. Si può contare su tale appoggio se in precedenza ci si era indirizzati su strategie mirate ad aumentare la fidelizzazione del cliente.
Per migliorare la nostra brand image dobbiamo prestare estrema attenzione ai bisogni di clienti e impiegati, gestirne eventuali lamentele con cautela e professionalità, mostrare intraprendenza tramite partnership con brand più influenti, avere fiducia nel nostro marchio e dimostrarlo tramite servizi attenti e curati.
Le campagne pubblicitarie che, come menzionato in precedenza, sono lo strumento cardine tramite il quale puntiamo ad aumentare la visibilità del marchio, dovranno essere studiate ad hoc, inclusive e non discriminatorie, evitando azioni azzardate e scivoloni che potrebbero azzerare in un secondo ciò che si è costruito in anni di duro lavoro.
Recessione economica e mantenimento della clientela
A proposito di momenti bui, con l’avvento della pandemia a inizio 2020 tutte le attività commerciali sono state messe a dura prova, nessuno escluso. C’è chi purtroppo non è riuscito a superare i lunghi mesi di chiusure e restrizioni arrivate come un fulmine a ciel sereno, e chi invece è riuscito a venirne fuori non senza difficoltà, perché ha saputo reinventarsi e adattarsi al cambiamento in maniera rapida e intelligente.
Mai come nell’ultimo anno e mezzo, abbiamo potuto riscontrare quanto la fidelizzazione del cliente sia importante: a causa delle circostanze, la maggior parte dei consumatori ha cambiato le proprie abitudini di acquisto, passando allo shopping online, oppure recandosi nel punto vendita più vicino alla propria abitazione che non sempre coincideva con quello di fiducia.
Quando il consumatore sceglie il nostro marchio perché ne ha un’immagine positiva legata a buone esperienze pregresse, soddisfazione derivata dal prodotto e connessione con i valori espressi, si parla di brand loyalty. In questo caso, il cliente tenderà a preferirci anche a costo di un prezzo leggermente più elevato o a una lieve scomodità nel raggiungerci.
Quando invece il prodotto viene acquistato per un’esigenza momentanea per la quale si desidera risparmiare il più possibile, senza basarsi su esperienze passate e su una condivisione di valori, abbiamo invece la cosiddetta customer loyalty. Una sorta di soddisfazione a breve termine, che ci consente di finalizzare la vendita ma non ci garantisce un nuovo cliente affezionato.
In questo articolo abbiamo svelato tutte le tecniche per instaurare e mantenere la fidelizzazione del cliente.
Studiare la giusta offerta commerciale
Un brand di successo ha fondamenta solide costituite da una commistione di fattori tutti perfettamente intersecati tra di loro. Come citato in precedenza, oltre alla qualità del prodotto, abbiamo bisogno anche di una buona immagine, di una filosofia portante e, ultimo ma non per importanza, di attirare l’attenzione del cliente con un’offerta commerciale ben pensata.
L’offerta commerciale non è il catalogo di tutti i prodotti e servizi offerti, quanto una selezione di essi che cambia con la stagionalità, gli eventi socio-economici e le tendenze di acquisto della clientela target. Il fine ultimo è sempre quello di vendere il prodotto, o il pacchetto di prodotti, che meglio rappresenta e supporta il nostro business, ma per farlo dobbiamo riuscire a convincere il cliente che questa sia la scelta migliore anche per le sue esigenze.
Per questo le offerte commerciali funzionano quanto più vengono personalizzate: ogni cliente è diverso, e i bisogni di chi acquista da anni sono nettamente diversi da quelli di chi è appena venuto a conoscenza della nostra esistenza. Ricordiamo sempre che il prezzo di vendita è fondamentale non solo per garantirci un’entrata, ma anche per determinare il posizionamento del nostro prodotto nell’immaginario del grande pubblico. Un prezzo stracciato tende a svalutare la nostra proposta, facendola sembrare scadente e priva di qualità.
Un prodotto costoso, invece, tende a creare nella mente un’aspettativa di alta qualità a ricercatezza. Per scoprire di più su come creare un’offerta commerciale intelligente, clicca qui.
Quanto devo investire nella pubblicità?
Quando si decide di investire su una campagna pubblicitaria è necessario ponderare a dovere le mosse da compiere, i canali sui quali effettuarla e il budget da mettere a disposizione. Come abbiamo visto, infatti, una comunicazione sbagliata può compromettere gravemente immagine e credibilità, pertanto è meglio non rischiare con azioni avventate.
Oltre alla conoscenza approfondita del proprio target, per definire l’investimento pubblicitario dobbiamo tenere in considerazione alcuni dati importanti quali lo Share of Spending e lo Share of Market. Il primo fa riferimento al posizionamento dell’azienda nel settore merceologico, e si calcola facendo il rapporto tra il proprio investimento e quello del mercato di appartenenza.
Lo share of market (in italiano “quota di mercato“) è la percentuale di vendite totalizzate da un’azienda all’interno della propria categoria, e si ottiene facendo il rapporto tra le proprie vendite di in un determinato lasso di tempo, e il totale delle vendite dell’intero settore realizzate nello stesso periodo.
Tutti questi dati ci serviranno per calcolarne uno determinante: l’indice di aggressività. Facendo il rapporto tra SOS e SOM otteniamo la risposta al nostro quesito: quanto investire per la pubblicità? Per scoprire cosa significano i diversi valori dell’indice di aggressività, leggi il nostro articolo dedicato.