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Al fine di condurre un’azienda di successo, oltre a un buon piano commerciale, di comunicazione e logistico, è necessario poter contare su figure professionali in grado di guidare il resto dei collaboratori, non solo supervisionando il loro operato ma spronandoli a esprimere il loro potenziale. Parliamo quindi della leadership aziendale: di che cosa si tratta e come migliora la produttività generale? Vediamolo insieme.

Cos’è la leadership aziendale

Il termine leader fa riferimento a un individuo autorevole, capace di influenzare positivamente l’attitudine e il comportamento degli altri dipendenti, aumentandone il rendimento e creando coesione all’interno dell’ambiente lavorativo.

A differenza di un manager, la cui attenzione è focalizzata esclusivamente sul raggiungimento di obiettivi economici, il leader si concentra sulle risorse umane, gestendole in maniera sempre diversa a seconda delle circostanze, con il fine ultimo di stimolare la produttività di ogni singolo individuo per giungere tutti insieme al traguardo prefissato.

Per diventare leader sono necessarie numerose skills, non solo dal punto di vista della competenza nel campo di riferimento, ma anche e soprattutto da quello attitudinale. Un buon leader, infatti, deve innanzitutto avere ottime capacità di comunicazione, per potersi relazionare in maniera chiara, trasparente e assertiva con il personale.

Inoltre, una buona dose di carisma è più che necessaria, in quanto aiuterà a spronare i collaboratori e a trasmettere loro positività, intraprendenza e voglia di fare. Il clima sereno dell’ambiente lavorativo dipende in larga parte dal leader, che è colui che più di tutti influenza le altre personalità: se questa figura si pone in maniera aggressiva, fredda, distaccata, senza riconoscere il talento e i meriti dei propri sottoposti, questi ultimi di conseguenza sperimenteranno un brusco calo di motivazione e fiducia in sé stessi, diminuendo di riflesso anche la produttività generale.

Proprio per evitare tale situazione, è importante che il leader sia affidabile ed empatico, che guadagni cioè la fiducia dei collaboratori e consenta loro di esprimersi liberamente anche dal punto di vista emotivo. Solo tramite l’accoglienza e l’ascolto reciproco, infatti, è possibile ottenere il massimo da ogni singola figura che compone l’organico dell’azienda. Il rendimento di quest’ultima è strettamente legato alla gestione delle risorse umane, così come venne dimostrato dallo psicologo Elton Mayo già negli anni ’30 del secolo scorso. Relazioni positive portano a una maggior serenità tra i collaboratori, che raggiungeranno l’obiettivo comune in meno tempo e con più entusiasmo. Questo vale per tutti i settori lavorativi, compreso quello della grande distribuzione, di cui avevamo parlato qui.

Differenti modelli di leadership

La leadership può (e deve) essere esercitata in maniere differenti a seconda delle circostanze, e delle personalità con cui si ha a che fare.

Nessuna è giusta o sbagliata: un buon leader è colui che sa quando e come attuare le diverse strategie per ottenere i migliori risultati dai propri dipendenti.

Per diventare leader all’interno dell’azienda, al contrario di quanto può accadere con posizioni specifiche, non è necessario detenere un certo titolo di studi, o avere raggiunto un certo grado di anzianità: ciò che conta è la predisposizione mentale, emotiva e attitudinale a guidare il gruppo dei collaboratori.

Secondo il modello di leadership elaborato da Hersey e Blanchard, esistono quattro tipologie principali di approccio:

-Leadership direttiva: in questo primo caso, le decisioni vengono prese dal leader e sono insindacabili. I sottoposti sono soltanto incaricati di portare a termine le proprie mansioni, senza possibilità di apportare cambiamenti alle linee guida fornite. La comunicazione è quindi di tipo unidirezionale. Tale approccio si applica soprattutto qualora i collaboratori non avessero ancora maturato le competenze necessarie a svolgere il compito in autonomia.

-Leadership persuasiva: avanzando nella scala dei modelli troviamo questa tipologia di leadership, indirizzata soprattutto al personale che ha competenza nel settore di interesse, ma manca di entusiasmo e partecipazione. Adottando una comunicazione bidirezionale, i collaboratori vengono stimolati e possono accrescere giorno dopo giorno la fiducia in sé stessi, confrontandosi con il leader e apportando le proprie idee in merito al progetto in questione. In questo tipo di approccio, il leader svolge un’azione altamente orientata alle relazioni: l’obiettivo è quello di far acquisire sicurezza ai sottoposti, in modo che possano svolgere i compiti in autonomia nel prossimo futuro.

-Leadership partecipativa: quando il modello persuasivo non è più necessario, si può optare per quello partecipativo. In questo modello di leadership, il leader non ha più un ruolo centrale, ma può contare su collaboratori in grado di svolgere in maniera indipendente le mansioni. Il suo intervento è sporadico, e avviene soltanto in caso di necessità, o per incoraggiare il personale a continuare sulla retta via.

-Leadership delegante: il più alto modello di leadership è quella delegante. In quest’ultimo caso, il leader fornisce soltanto le linee guida ai collaboratori, ma saranno questi ultimi a occuparsi di ogni fase del progetto senza necessità di alcun intervento da parte del superiore. Il personale, a questo punto, ha acquisito competenze, responsabilità e diligenza, qualità sulle quali il leader può far affidamento senza alcuna preoccupazione.

In questo articolo avevamo approfondito la tematica del rischio d’impresa, un aspetto importante da tenere in considerazione quando si decide di avviare la propria attività.

La leadership post pandemia

Viviamo in un’epoca in cui la società evolve alla velocità della luce, e spesso stare al passo può rivelarsi difficoltoso. Soprattutto dopo gli avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi anni, emergenza sanitaria, conflitti geopolitici, inflazione, è importante che la figura del leader sappia adattarsi alle nuove circostanze che ormai riguardano la totalità della popolazione. Un approccio basato soprattutto su umanità e gentilezza, ora ancor più che in passato, serve a motivare i dipendenti, a renderli partecipativi, entusiasti e sicuri delle proprie capacità, garantendo all’azienda ottime performance.

Passare da uno stile autoritario a uno collaborativo, cambiando il soggetto da “io” a “noi”, è la chiave per il successo di un’azienda nell’era post pandemica. Le decisioni non vengono più prese da una sola persona in maniera insindacabile, ma diventano oggetto di confronto e scambio di idee, al fine di coinvolgere il personale e renderlo fiero della propria posizione all’interno dell’impresa.

Ovviamente, passare a una leadership più umana non significa perdere di vista gli obiettivi economici, ma ottimizzare il percorso verso il raggiungimento degli stessi, interessandosi e curandosi sinceramente del benessere dei propri collaboratori, e fornendo loro gli strumenti necessari per sviluppare appieno il potenziale che custodiscono.

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Qualsiasi attività imprenditoriale deve fare i conti sin dalla nascita con la possibilità che si verifichino eventi e situazioni impreviste in grado di minare la stabilità del business. Questo insieme di fattori viene denominato rischio d’impresa, un aspetto intrinseco all’impresa stessa che è importante saper gestire a dovere per avere successo sul lungo termine. In questo articolo scopriamo di che cosa si tratta esattamente, e quali sono i passi da muovere per ottimizzare il proprio enterprise risk management.

Cos’è il rischio d’impresa

L’impresa, definita come un’attività economica il cui scopo è la generazione di profitto, è un concetto per nulla statico, ma anzi in continua evoluzione. Il suo destino non può essere in alcun modo predetto, in quanto dipende da una serie di fattori esterni indipendenti ed estremamente variabili, come il costo delle materie prime, l’avanzamento della tecnologia, l’affermazione di nuovi competitor, le variazioni dei regimi fiscali, e gli avvenimenti economici e politici dell’ambiente circostante. Non esiste un solo business esente dal rischio d’impresa, ovvero dalla possibilità che avvengano cambiamenti capaci di destabilizzare o affossare completamente l’impresa stessa.

Questi rischi, che possono essere tradotti in crisi di varia natura, vanno gestiti in maniera responsabile e lungimirante se si desidera che la propria attività sopravviva anche alle situazioni più dure. Il calcolo del rischio è un processo imprescindibile a cui dedicare tempo e risorse quando si avvia l’impresa, e va affidato a personale competente, i cosiddetti Risk Manager, con l’obiettivo di intercettare i pericoli e ridurli al minimo. Queste figure specializzate hanno il compito di studiare il mercato e le sue variazioni, e proporre soluzioni volte a tutelare l’imprenditore stesso, i suoi dipendenti e gli azionisti.

Il concetto di rischio d’impresa esiste sin dall’alba dei tempi, in quanto non può in nessun modo essere separato dall’essenza dell’attività imprenditoriale stessa. La gestione del rischio, invece, è una disciplina che iniziò a essere studiata negli anni ’50 del secolo scorso, dando vita a quelle figure professionali al giorno d’oggi indispensabili all’interno di qualsiasi azienda di successo.

Un bravo risk manager deve identificare per tempo le possibili minacce, valutarne l’impatto, studiare le strategie di intervento e ottimizzare gli investimenti dell’impresa, in modo che le perdite siano arginate.

Gestire in maniera ottimale i rischi comporta numerosi vantaggi per l’azienda, tra questi:

Un miglior rapporto con gli istituti bancari, che saranno disponibili a elargire crediti grande portata

Migliore conoscenza dei processi produttivi e dell’azienda in sé

Miglior rapporto con gli azionisti, e più in generale con tutti gli stakeholder, di cui avevamo parlato qui

Miglior organizzazione dell’intera struttura aziendale

Tipologie di rischi d’impresa

Quello del rischio d’impresa è un concetto astratto, che può coinvolgere differenti aspetti dell’azienda stessa. Per questo motivo viene scomposto per comodità in diverse categorie, in modo da poter studiare in maniera più chiara e approfondita tutte le sfaccettature di questa ampia nozione.

Il rischio economico è legato all’equilibrio tra i costi e i ricavi dell’azienda e comporta conseguenze sul suo reddito, per esempio a causa dell’inflazione o dell’impossibilità di un cliente di saldare i debiti nei confronti dell’impresa.

Il rischio patrimoniale incide in maniera diretta sul patrimonio dell’azienda: parliamo in questo caso di una serie di eventi e fattori in grado di minare il capitale stesso dell’impresa.

Il rischio finanziario riguarda l’equilibrio tra il flusso di denaro in entrata e quello in uscita. Il profitto di un’azienda non si basa soltanto su quanto generato dalla vendita di beni e servizi, ma anche sui risvolti ottenuti dagli investimenti: questi ultimi possono avere esito positivo, oppure negativo incidendo sulla situazione finanziaria complessiva.

Ultimo ma non per importanza troviamo il rischio reputazionale: questo è certamente il fattore astratto per eccellenza, in quanto è pressoché impossibile da prevedere, ma quello che necessita della gestione più attenta e intelligente. Riguarda la possibilità che notizie riservate vengano diffuse assumendo una connotazione fortemente negativa, compromettendo la reputazione stessa del business e talvolta il suo fallimento.

Il rischio reputazionale può essere tradotto in cause legali e sindacali, scandali che coinvolgono i vertici o la responsabilità sociale dell’impresa, cattiva gestione amministrativa e scelte strategiche sbagliate.

Come tutelarsi dal rischio

Ormai è assodato: il rischio è una costante nel mondo dell’imprenditoria. Il risk manangement è l’insieme delle scelte prese dall’azienda con lo scopo di prevenire e risolvere in maniere efficace qualunque problema si presenti lungo il cammino. Ma oltre allo studio approfondito e al monitoraggio costante di tutte le variabili esterne, ci sono metodi concreti adottabili dagli imprenditori per tutelare sé stessi e la propria attività? La risposta è sì: esistono polizze assicurative dedicate alle imprese, che proteggono il capitale investito, i lavoratori e il capitale civile coinvolto.

Al giorno d’oggi questo tipo di precauzione non è tanto diffuso e ben visto in Italia quanto nei paesi anglosassoni, ma è comunque in via di sviluppo e sempre più imprenditori decidono di affidarsi a organi competenti per la tutela dell’impresa.

Sono infatti tanti i fronti da proteggere: in primis il capitale investito, che riguarda non soltanto il denaro ma anche tutti gli strumenti e i macchinari a disposizione dell’azienda.

Si pensi poi ai dipendenti e ai collaboratori che risentirebbero in maniera diretta di eventuali crisi e problematiche riguardanti l’azienda; in ultimo va citata l’assicurazione contro il rischio civile, che protegge in caso di danni civili provocati a terzi.

Purtroppo molti imprenditori, soprattutto i più giovani e meno esperti, tendono a considerare le polizze assicurative come oneri pesanti e inutili. Si tratta certamente di una spesa in più da sostenere, che va affrontata con lungimiranza e con la consapevolezza che, qualora si verificassero eventi inaspettati e indipendenti da noi, potrebbe davvero fungerà da salvagente per la nostra azienda.

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