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Nella quotidianità, siamo regolarmente testimoni inconsapevoli di una miriade di fenomeni di mercato ai quali non prestiamo attenzione ma che vengono accuratamente studiati da esperti del settore dalla nascita e durante tutta la loro evoluzione. Quante volte facendo la spesa, abbiamo notato la presenza di prodotti “equivalenti” brandizzati dal supermercato stesso? Questo fenomeno, nato negli anni ’70, viene definito Private Labelling.
Scopriamo insieme qualcosa di più a riguardo di questo meccanismo di branding.
Cos’è il Private Labelling
Con il termine “Private Labelling”, sinonimo di “marca commerciale” o “marchio privato”, si intende un marchio sviluppato da un dettagliante o da un grossista, e non più da un produttore. Si tratta di beni di consumo estremamente simili a quelli già presenti sul mercato della GDO e commercializzati dai colossi del settore.
Generalmente, la qualità dei prodotti Private Label è molto simile a quella delle proposte dei grandi marchi: a parità di caratteristiche, a differire è soprattutto il prezzo, più competitivo in quanto le catene che decidono di inserire prodotti a marchio commerciale non hanno l’impellente necessità di investire in campagne di marketing dedicate.
Ma come si ottiene una linea Private Label?
Spesso, chi offre un marchio privato si affida agli stessi produttori dei grandi marchi, la cui capacità produttiva va in eccesso: tutto il residuo viene venduto ai distributori interessati come “prodotti bianchi”, ai quali verrà apposto il marchio solo successivamente.
Evoluzione del Private Labelling
L’iniziativa del Private Labelling vede le sue origini nell’America degli anni ’70, quando i distributori si resero conto che il consumatore, specialmente in situazioni di crisi, era ben disposto a sostituire i beni di uso comune con alternative il cui prezzo e qualità fossero leggermente inferiori.
I prodotti a marchio commerciale nacquero quindi con la caratteristica intrinseca di una qualità più bassa, di pari passo con il prezzo, che consentisse all’acquirente di risparmiare in attesa di tempi migliori.
Il fenomeno ha infatti mostrato una crescita esponenziale durante i periodi di recessione economica, in particolar modo nelle decadi scorse, quando ancora non si trattava di una realtà ben consolidata nel consumo quotidiano occidentale.
Dopo l’iniziale focus sul risparmio, è subentrato ben presto un nuovo fattore all’interno dell’equazione: la qualità, spesso più importante del prezzo stesso, e per la quale il consumatore è disposto a pagare addirittura un premium price (di cui abbiamo parlato in questo articolo).
Gli obiettivi del Private Labelling
Se in principio i Private Label avevano lo scopo di orientare il cliente verso un prodotto con un margine di guadagno più elevato, al giorno d’oggi servono a fidelizzarlo verso il proprio punto vendita: le grandi catene distributive, negli ultimi anni, hanno infatti cambiato approccio investendo nella realizzazione di campagne pubblicitarie ad hoc per promuovere la propria linea di prodotti a marchio privato, la cui qualità non ha più nulla da invidiare a quella dei grandi marchi nazionali.
Ogni tipologia di marca commerciale ha un obiettivo specifico: se ci guardiamo attorno, noteremo sugli scaffali come i distributori tendano ad apporre il proprio marchio su prodotti dalle caratteristiche specifiche, come “gluten free”, “vegan”, “per bambini”, ecc.
Questo porta a un progressivo miglioramento della store image agli occhi del consumatore, che lo troverà sempre più rifornito, con una scelta ampia, variegata e attenta alle esigenze di tutti.
Al giorno d’oggi, i Private Label arrivano a costituire quasi il 30% delle vendite di alcuni distributori, a dimostrazione di quanto questo fenomeno si sia affermato ed evoluto nel corso di pochi decenni.
Diventando “produttori” dei beni da loro stessi commercializzati, i dettaglianti acquisiscono via via maggior indipendenza dai produttori industriali, oltre ad aumentare anche il potere contrattuale nei loro confronti.
La percezione del Consumatore del Private Label
Per lungo tempo, il consumatore medio ha percepito i Private Label come prodotti di bassa qualità, rivolti a chi accettasse di scendere a compromessi pur di risparmiare sulla spesa quotidiana.
Oggi invece la situazione si è ribaltata: basti pensare che 7 consumatori su 10 li ritengono spesso più validi rispetto alle proposte delle marche nazionali.
Tuttavia, quando un cliente entra per la prima volta in un nuovo punto vendita, non si indirizzerà immediatamente sulla sua marca commerciale, ma avrà bisogno di essere rassicurato dalla presenza sugli scaffali dei grandi brand leader. Solo dopo aver sviluppato la store loyalty, l’acquirente sarà ben disposto a improntare la propria spesa sui prodotti Private Label.
A scatola chiusa, infatti, è logico che deciderà di acquistare un prodotto a marchio nazionale per la sua fama già consolidata.
Accogliere la fusione tra prezzo accessibile e buona qualità, offerta oggigiorno dalla maggioranza dei Private Label, non è semplice per la mente del consumatore, che di default è abituata a concepire il mercato tramite due parametri specifici: il costo e la qualità direttamente proporzionali tra loro.
Questa è una delle motivazioni per la quale in Italia il Private Label è ancora poco diffuso rispetto alla media Europea e Occidentale, unita alla reticenza di diverse aziende al conformarsi a questo tipo di strategia di vendita.