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L’affermazione della Grande Distribuzione Organizzata ha segnato un punto di svolta decisivo nello stile di vita dei cittadini. Negli ultimi decenni, infatti, abbiamo assistito a un aumento esponenziale di supermercati e ipermercati, a discapito dei piccoli negozi di quartiere.

Per trattare un argomento vasto come quello della GDO è necessario soffermarsi su diversi aspetti, partendo da struttura e organizzazione di questo sistema complesso che ha rivoluzionato per sempre il settore del commercio al dettaglio. Dopo aver compreso le differenza tra GDO e GDS vediamo insieme in quali format si declinano i punti vendita della GDO.

GDO in breve

Con “Grande Distribuzione Organizzata” si intende la vendita al dettaglio di prodotti alimentari e non, su superfici generalmente superiori ai 200 m², da parte di attività commerciali gestite da un’unica azienda centrale.

Le cosiddette “catene commerciali” sono costituite infatti da punti vendita che si identificano sotto la medesima insegna, che spesso si approvvigionano dai medesimi fornitori e le cui strategie di vendita, politiche aziendali e campagne pubblicitarie vengono gestite dal medesimo marchio proprietario.

L’incomparabile vantaggio di questa forma di vendita al dettaglio è dettato dal forte potere contrattuale nei confronti dei grossisti grazie alle grandi quantità di acquisto, che consentono di rivendere il prodotto a un prezzo finale estremamente concorrenziale.

La diffusione della GDO in Occidente

La nascita dei grandi magazzini avvenne nella prima metà del ‘900 in America, la culla della società capitalista, che vide evolvere e prosperare un tipo di attività commerciale completamente diverso da quello al quale si era abituati in precedenza.

È a New York nel 1930, infatti, che sorge il primo supermercato su una superficie di ben 560m2. Ci vorrà un altro decennio prima che venga aperto il primo in Europa, a Londra, e quasi 20 anni per l’arrivo in Italia di questa nuova frontiera del commercio al dettaglio.

A causa dell’arretratezza del sistema commerciale e dell’ancora grande importanza delle piccole attività di vicinato, è solo nel 1957 che il primo supermercato inaugura a Milano sotto l’insegna Esselunga.

I format della Grande Distribuzione Organizzata

La GDO comprende diverse tipologie di esercizi commerciali, suddivisi a seconda delle caratteristiche di dimensione (m²), ampiezza (numero di prodotti che possono essere contenuti) e profondità (numero di referenze per prodotto).

La classificazione viene eseguita tenendo conto esclusivamente della superficie di vendita, non contando quindi i magazzini, gli spazi adibiti al personale e ai parcheggi.

È necessario specificare che, nonostante le definizioni tecniche prese normalmente come riferimento, ogni catena commerciale tende a suddividere i punti vendita a seconda dei propri criteri, anche a causa dell’aumento avvenuto negli ultimi anni di servizi e prodotti offerti, che ha portato alla luce la necessità di ulteriori suddivisioni tra i vari esercizi.

La classificazione originaria, comunque, prevede:

-ipermercati: sono i punti vendita che si estendono su superfici superiori ai 2500 m². All’interno di questo format, vengono fatte ulteriori distinzioni tra i superstore (tra i 1500 e i 2500 m²), gli iperstore (tra i 2500 e i 4000 m²), e i megastore (superiori a 10 000 m²), in quanto non risulta conveniente apportare lo stesso tipo di gestione a un punto vendita di 2000 m² rispetto a uno di 15 000 m². Per quanto numeri di questo tipo possano sembrare colossali, gli iperstore in Italia restano comunque di “modeste” dimensioni se paragonati ad alcuni giganti esteri che arrivano a toccare i 40 000 m² di superficie.

-supermercati: si estendono tra i 400 e i 2500 m² e nascono soprattutto nelle periferie cittadine; offrono un ampio assortimento di grocery e non, che resta comunque molto limitato rispetto a quello di un ipermercato. Si tratta della categoria più diffusa e frequentata dal consumatore medio italiano soprattutto negli anni ’90, poi soppiantata dall’arrivo dei discount che con i loro prezzi competitivi hanno attirato le attenzioni delle masse. Attualmente, si registra comunque una discreta ripresa per i supermercati, dopo aver raggiunto una sorta di equilibrio con i concorrenti discount. Con questo termine, si intendono punti vendita di dimensioni generalmente comprese tra i 200 e 1000 m², che offrono un assortimento spesso variabile e che punta su prodotti generici a prezzi più bassi rispetto a quelli degli altri punti vendita. Al giorno d’oggi, tuttavia, è sempre più frequente l’inserimento di grandi marchi o linee selezionate anche all’interno dei punti vendita a discount.

-libero servizio: sono punti vendita di piccole dimensioni, tra i 100 e 400 m² che costellano i piccoli centri cittadini e che, nonostante la drastica diminuzione subita negli ultimi anni, costituiscono ancora una realtà solida nel nostro Paese e in Est Europa.

-cash&carry: così vengono definiti gli esercizi commerciali dedicati alla vendita all’ingrosso per professionisti.

Con l’evoluzione continua del mercato e dei servizi, non è da escludersi un cambiamento delle classificazioni e soprattutto, l’inserimento nel tempo di nuovissimi format di pari passo con lo stile di vita del consumatore.

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La Grande Distribuzione Organizzata, dalla sua affermazione negli anni ’60 a oggi, ha subito un considerevole numero di cambiamenti in tutti gli aspetti in cui si declina.

Primo fra tutti, l’ambito dei pagamenti: se fino a trent’anni fa, l’unico metodo esistente era il denaro contante, in sole tre decadi la situazione è stata completamente stravolta dall’arrivo dei sistemi di pagamento digitali.

Ma qual è il futuro verso il quale ci stiamo dirigendo? Scopriamolo in questo articolo.

L’evoluzione dei pagamenti nella GDO

Nel 2015, in Italia, 175 miliardi di Euro sono stati fatturati tramite mezzi di pagamento elettronici.
Bizzarro pensare che solo trent’anni prima il contante era l’unica forma universalmente accettata e le carte di credito/debito venivano utilizzate solamente da stranieri, turisti e dagli Italiani appartenenti a un’alta classe sociale.

In principio, la compravendita tramite contanti fondava le proprie radici su un concetto di fiducia tra il fornitore e il distributore, o tra il dettagliante e il cliente: spesso infatti, i pagamenti venivano “segnati” e poi riscossi solo periodicamente.

È negli anni ’90 che prende forma un rinnovamento delle forme di pagamento, grazie anche alla diffusione degli e-commerce che richiedono, nella quasi totalità dei casi, una carta idonea per poter effettuare gli ordini. Proprio in questo momento, i grandi attori della GDO (per sapere come sono classificati i punti vendita della GDO leggete questo articolo) iniziano a maturare il desiderio e la necessità di soppiantare la moneta con i sistemi di pagamento digitali, molto più funzionali e sicuri, e che sradicano completamente il problema della gestione e delle rapine. Per incentivare l’utilizzo dei canali elettronici, vengono quindi create le prime carte di credito a nome di grandi colossi come Conad, Esselunga e Coop.

Nel 2010 viene migliorata l’esperienza di acquisto tramite carta con l’introduzione del contactless, il sistema che permette di pagare senza inserire la carta nel terminale POS, ma semplicemente avvicinandola. Questa innovativa formula prende piede fino a raggiungere gli 80 miliardi di € di fatturato nel 2018.

Al giorno d’oggi, oltre alle carte di debito (Bancomat) ormai possedute dalla stragrande maggioranza della popolazione, sono entrati a far parte della nostra quotidianità anche i pagamenti tramite smartphone e smartwatch, ulteriormente ottimizzati da funzioni quali riconoscimento facciale, di impronte digitali o dell’iride, più affidabili e sicure rispetto a tutti i metodi di protezioni esistenti finora.

Il cosiddetto cash, nonostante l’odierna diffusione dei sistemi digitali, rimane comunque il metodo più utilizzato nel nostro Paese. Sempre secondo il bilancio dell’anno 2015, infatti, l’80% delle transazioni sono state effettuate tramite denaro contante: un dato preoccupante, che posiziona l’Italia tra i primi posti in Europa per utilizzo di liquidi discostandosi dalla rapida evoluzione che i pagamenti hanno subito recentemente.

Quali vantaggi presentano i pagamenti digitali?

Oltre a consentire il tracciamento delle operazioni, i pagamenti elettronici offrono una serie di vantaggi per gli utenti e per gli esercenti che li riscuotono.

Praticità e sicurezza sono gli innegabili punti di forza: potersi spostare ovunque e accedere alla totalità dei servizi (trasporti, acquisti, carburante, utenze, soggiorni e piccole spese) avendo con sé solo una carta o il proprio smartphone rende la quotidianità semplice e priva di imprevisti. Senza tralasciare la facilità con la quale tutte le entrate e le uscite vengono riportate in automatico nella proprio account di internet banking, Paypal, e-wallet o similari.

Per le attività, la digitalizzazione dei pagamenti equivale a un minor tempo speso nella gestione e nel versamento dei liquidi, più competitività per i servizi offerti al cliente, maggior sicurezza sul posto di lavoro, minor margine di errore e incongruenze nel fatturato.

Per incentivare questo sistema, nel 2014 entra in vigore l’imposizione del terminale POS in tutti gli esercizi commerciali, nel 2016 l’obbligo di accettazione anche dei micropagamenti, e nel 2020 l’abbassamento del tetto per le operazioni in contanti: ora è possibile effettuare transazioni liquide solo fino a 2000€. A gennaio 2022, la soglia si abbasserà ulteriormente e si fermerà a 1000€.

Queste misure hanno presto dato i loro frutti: se nel 2018, il 18% degli italiani dichiarava di utilizzare esclusivamente contanti per le proprie spese, nel 2019 la percentuale è diminuita al 15%.

L’ultimissima novità per l’incentivo del pagamento elettronico a discapito di quello in contanti, è l’introduzione a dicembre 2020 del Cashback di Stato: tramite l’app dei servizi pubblici, è possibile infatti ricevere il 10% di Cashback sui propri acquisti realizzati nei punti vendita tramite pagamento digitale. Una tematica che ha fatto ampiamente discutere e che ha spaccato a metà l’opinione pubblica, ma che rientra alla perfezione nel piano per l’eliminazione del denaro contante.

Le difficoltà nell’affermazione dei pagamenti digitali

Nonostante le premesse e i dati apparentemente positivi, la grossa difficoltà nell’affermazione definitiva dei pagamenti elettronici sta nella mancanza di un unico, grande sistema che li raggruppi tutti senza eccezioni.

Spesso infatti, gli esercenti si vedono costretti a scegliere tra l’installazione di due o più circuiti simili perché in competizione tra loro, privando il cliente di un prezioso servizio. Gli elevati costi di apertura del contratto, il canone annuo e le commissioni per singola operazione, poi, costituiscono un ulteriore ostacolo soprattutto per i piccoli commercianti. Basti pensare che le commissioni su carte di credito si aggirano tra l’1% e il 2,5%, con un picco del 5% per le carte American Express, spesso non accettate a causa di questa percentuale insostenibile.

Nel nostro Paese, è ancora abbastanza diffuso soprattutto tra le persone di età avanzata, un certo scetticismo nei confronti dei pagamenti elettronici, per una mancanza di fiducia verso un servizio così “nuovo” e “tecnologico”.

Inoltre, non sono da sottovalutare nemmeno i 15 milioni di unbanked, ovvero utenti che non possiedono nessun conto corrente e i cui pagamenti, quindi, non possono in alcun modo essere tracciati.

Per una vera ottimizzazione dei pagamenti, è necessario garantire benefici sia agli utenti che agli esercenti: ciò che manca è una rete di circuiti che vada a confluire in un unico software centrale, capace di accettarli tutti senza discriminazioni, in ogni tipo di attività commerciale.

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